1. Si dice il “piccolo gregge” e si finisce per pensare alla minoranza. Forse lo stesso titolo, con quel ‘si riduce’, lascia intendere questa sorta di slittamento semantico che genera confusione e ambiguità. Sappiamo bene – la riflessione biblica lo evidenzia – che le parole pronunciate da Gesù, nel loro contesto originario, sono di consolazione. Non solo: il senso di quelle parole di consolazione aiuta i discepoli a comprendere che Gesù stesso è il buon Pastore che dà la vita eterna alle pecore che il Padre ha posto nelle sue mani (cfr. Gv 10,27-30). L’identità della comunità cristiana, che vive nella storia, è sempre espressa dal suo essere “piccolo gregge”: certo, non trascura la visibilità e la consistenza, ma si esprime sempre nella sua “piccolezza” evangelica, che esalta l’umiltà di chi pone la sua fiducia nel buon Pastore e nel suo Regno.

A un regno ben diverso appartengono i termini di maggioranza e minoranza del linguaggio socio-politico. Purtroppo capita spesso di passare, senza le dovute attenzioni, dal linguaggio evangelico al linguaggio socio-politico. La democrazia è il governo della maggioranza: nella società democratica  la volontà espressa dai più – e cioè dalla maggioranza – deve prevalere ed essere considerata come volontà di tutti ai fini delle decisioni collettive (è il cosiddetto “principio maggioritario”). Si avverte pure l’esigenza di non schiacciare la minoranza, pena il venir meno della democrazia stessa. Queste dinamiche tipiche della vita politica – schieramenti, ricerca del consenso, campagne elettorali, formazioni partitiche, rappresentanza di interessi – non hanno nulla a che fare con la comunità cristiana e con la “piccolezza” evangelica: è pericoloso scivolare da un linguaggio all’altro.

  1. Certamente è possibile parlare di ‘minoranza religiosa’, sapendo che l’espressione indica realtà molto diverse. Ad esempio, la religione cristiana, pur essendo oggi la più diffusa nel mondo con oltre 2,18 milioni di fedeli, è nettamente minoritaria rispetto alla popolazione umana che supera i 6,9 miliardi. Inoltre anche oggi, pur con i notevoli cambiamenti avvenuti, è molto forte la tendenza a vivere insieme la stessa fede. Circa i tre quarti dei fedeli delle diverse religioni vivono in un paese dove la loro religione è maggioritaria: 157 paesi sono a maggioranza cristiana, 49 paesi a maggioranza musulmana (Pew Research Center, 2012; per il cristianesimo, cfr. La geografia del cristianesimo globale, in Il Regno-Documenti 9/2012). Nei paesi soprattutto asiatici, plasmati da grandi tradizioni religiose o da forti ideologie, le numerose minoranze cristiane vivono in grande difficoltà: qui essere minoranza vuol dire essere in pericolo di vita.

Poi vi sono minoranze cristiane anche all’interno di paesi di antica tradizione cristiana, in relazione alla confessione diversa da quella della maggioranza (minoranze cattoliche e protestanti in paesi a maggioranza ortodossa, minoranze ortodosse e protestanti in paesi a maggioranza cattolica, minoranze cattoliche e ortodosse in paesi a maggioranza protestante). Questo quadro, di per sé già complesso, si complica ulteriormente. In particolare in Europa, a motivo del processo di secolarizzazione che da oltre quattro secoli ha investito l’Occidente, vi sono Paesi nei quali la maggioranza della popolazione è cristiana dal punto di vista sociale, ma la ‘comunità confessante’ è piccola. A questo allude, credo, il titolo assegnato a questo intervento.

  1. Credo che oggi sia ancora più necessaria la cautela nell’uso di termini poco adatti, come quello di minoranza o maggioranza, ad esprimere l’identità, la missione, il volto della comunità cristiana. Faccio solo qualche accenno. La nozione di minoranza – come quella apparentata di ‘diaspora’ – è diventata in un certo senso problematica a motivo di tre fenomeni di vaste proporzioni, sviluppatisi nel corso del secolo XX e in questo XXI secolo. Il primo è il movimento ecumenico che rende secondaria la posizione di maggioranza e di minoranza. Nel senso che il dialogo, che dell’ecumenismo è lo strumento principale, non fa leva sulla forza numerica, ma sulla capacità di accoglienza e sulla qualità degli argomenti. Il secondo fenomeno è l’avvento della società plurale. Almeno in Europa si considera la diversità religiosa un valore da salvaguardare, non un pericolo da scongiurare. Tuttavia capita che l’esasperata secolarizzazione porti al cosiddetto pensiero unico, per cui su certe questioni diventa difficile esprimere la voce religiosa. Comunque, almeno a livello ideale, la società plurale, verso cui si tende, non considera le visioni religiose come minaccia, ma come portatrici di valori originali da immettere nel corpo sociale: è la sfida delle nostre società, in Europa e fuori dall’Europa. Il terzo fenomeno è costituito dai grandi movimenti migratori che sono in atto. È difficile dire ora cosa comporterà questa massiccia migrazione che durerà parecchio tempo. Cito solo un dato sorprendente, che non riguarda il futuro ma il presente: l’Indonesia, il paese musulmano più popoloso al mondo, con una legge sulla blasfemia che viene usata contro le minoranze, specialmente quella cristiana, ospita più cristiani di tutti i 20 paesi del Medio Oriente messi insieme (cfr. The Future on world Religion: Population Growth Projections, www.pewforum.org/2015/04/02/religious-projections-2010-2050).
  1. Il “piccolo gregge” in senso evangelico ci aiuta a ricuperare un’ecclesiologia più missionaria a livello di vita quotidiana, con una comunità che si sente ed è effettivamente pellegrinante e aperta al mondo. In fondo, è ciò che la stessa tradizione ci consegna, anche se spesso la visibilità, la quantità, la consistenza e gli onori hanno prevalso. Ma anche quando la religione cristiana divenne l’unica ammessa nell’impero e quando la società stessa, con la cristianizzazione dei popoli europei d’Oriente e d’Occidente, si concepì come corpus christianum, la comunità ecclesiale, pur sovraesposta nella sua realizzazione storica, ha sempre cercato di andare oltre il segno della visibilità, accogliendo i fermenti che la richiamavano alla sua condizione di popolo pellegrino e straniero: i discepoli di Gesù “vivono come stranieri, dispersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadòcia, nell’Asia e nella Bitinia (1Pt 1,1).

Riconoscersi “piccolo gregge” ci invita ad accogliere, seguendo le indicazioni del Concilio Vaticano II, una visione di Chiesa meno preoccupata di rafforzare se stessa e più impegnata nell’annuncio e nella carità. Ogni famiglia cristiana, ogni comunità eucaristica è “piccola Chiesa”, con la possibilità di vivere la dimensione domestica in cui si presta ascolto alla Parola di Dio, si attua l’accoglienza reciproca e si pratica l’annuncio in modo semplice e quotidiano. Ma proprio quando le comunità ecclesiali sono ridotte di numero, la fede cristiana ha ancor più bisogno della comunità per vivere la relazione con il Signore in un  legame, in una famiglia. Nello stesso tempo, quando la comunità è piccola e poco visibile, la missione che essa svolge continua ad avere una incidenza universale, secondo la logica evangelica: “Il popolo messianico, pur non comprendendo effettivamente l’universalità degli uomini e apparendo talora come un piccolo gregge, costituisce tuttavia per tutta l’umanità il germe più forte di unità, di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da lui assunto ad essere strumento della redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra, è inviato a tutto il mondo” (Lumen Gentium, 9).

L’indicazione conciliare è motivo di fiducia e di incoraggiamento per quanti vivono la responsabilità missionaria in difficili situazioni, soprattutto di apparente sterilità. Non è questione di numeri, ma di un sincero impegno per aprire la porta alla potenza misteriosa del Signore risorto che rimane con noi nella storia fino alla fine dei secoli. Non si tratta di consolarci con slogan, tipo “piccolo è bello” o “pochi ma buoni”, con un duplice rischio: quello dello spirito settario e della critica esasperata e quello della rassegnazione supina alle mode del tempo. Non si tratta neppure della luminosa esemplarità della vita dei cristiani, pur necessaria per esprimere la dimensione missionaria della fede. Si tratta soprattutto del mistero della Chiesa, della sua sacramentalità, della grazia dell’amore di Cristo accolto in noi e da noi offerto a tutti.

Il piccolo gregge può e deve sempre guardare con speranza al futuro, anche se vive qui in Europa il dramma del declino della vecchia cristianità europea. Il piccolo gregge si affida con fiducia al Pastore buono, sapendo che “il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata” (Mt 13,33). La breve parabola non è solo una parola di conforto, è anche l’invito ad uno stile missionario che sa assumere le fatiche della storia con la certezza che nulla va perduto.

Fonte: Servizio della Parola; 478 (2016).