E’ molto diffusa nella nostra realtà piacentina la tradizione del presepe. Persino sul Po si forma un corteo di barche per portare i presepi al pontile Città di Piacenza. È bello fermarsi davanti ai molti presepi, allestiti con fantasia poetica e con abilità tecnica non solo nelle Chiese e nelle case ma anche in altri contesti. Mi viene spontaneo formulare l’augurio natalizio con un interrogativo: perché non considerare come un grande presepe la nostra città di Piacenza, i paesi della pianura, i borghi delle nostri valli, le piccole comunità dei nostri monti? La bellezza dei nostri territori, delle nostre valli e delle nostre Chiese sono un invito a passare dal piccolo presepe, fatto con tanta cura, al grande presepe vivente che ugualmente richiede grande cura.

Contemplando i piccoli presepi, avvertiamo il loro fascino: suscitano in noi il desiderio di “lasciarci rapire all’amore delle realtà invisibili”, come si canta nel Prefazio della notte natalizia. Il Bimbo che giace in quella dimora dimessa, fragile come ogni bambino, si offre al nostro sguardo e al nostro abbraccio.

Ma quel Bimbo che vagisce è il Verbo di Dio, il Figlio del Padre. In silenzio accogliamo il mistero, entriamo nel cuore di Dio, lasciandoci attrarre dal suo amore: egli ci viene incontro per donarsi a noi in quel Bimbo appena nato. Siamo avvolti dal suo amore. Un amore che non vuole né possedere né esigere, vuole solo donare: Dio dona se stesso e il suo amore. Così anche il nostro cuore può amare veramente. E quando il cuore ama, noi possiamo vedere l’essenziale, come ricordava Saint-Exupéry: “l’essenziale è invisibile agli occhi: non si vede che col cuore”.

Abbiamo bisogno di vedere con il cuore, di essere rapiti dall’amore di Dio. Per diventare capaci di vedere bene, e cioè di stupirci, di contemplare, di donare. Quel Bimbo è la Parola che è vita, è la forza della consolazione, è la luce della speranza. Ci sarà pure il freddo, ci sono le difficoltà della vita, ma il cuore che ama non si ferma al freddo, non si attarda nel lamento. Ci sarà pure l’oscurità della notte, con le tante fatiche e i mille interrogativi che sembrano senza risposta, ma la luce di quel Bimbo vince ogni oscurità e illumina il cammino.

Nel piccolo presepe tutti volgono lo sguardo sul Bimbo. Maria e Giuseppe lo contemplano, con uno sguardo pieno di stupore e di amore. Le parole dell’evangelista Giovanni sembrano descrivere innanzi tutto l’esperienza di Maria e di Giuseppe nel presepe: “Abbiamo veduto con i nostri occhi, abbiamo contemplato, toccato con le nostre mani il Verbo della vita, perché la vita si è fatta visibile” (1 Gv 1,1). I pastori vedono il Bambino, invasi da un meraviglioso stupore che ammorbidisce un po’ il loro cuore duro. I Magi, misteriosi cercatori di Dio, dopo aver a lungo camminato lasciandosi condurre dalla luce della stella, adorano e aprono lo scrigno dei loro doni.

Nel grande presepe, quello vivente nella nostra quotidianità, cominciamo dai doni, suscitando in noi il desiderio di donare. Perché è più facile donare che contemplare: la contemplazione esige uno sguardo nuovo sulla vita. Cominciamo a portare i nostri doni, e cioè le buone relazioni, i legami di affetto, le parole di comprensione, i gesti di accoglienza, il perdono offerto e accolto. Più amicizia, più vicinanza, più solidarietà tra noi. Più amore per ogni persona, più rispetto per l’ambiente in cui viviamo, più onestà, più fedeltà. Il grande presepe può avvicinarsi un po’ al piccolo presepe se costruiamo insieme la nostra realtà, se valorizziamo l’impegno educativo e il bene comune, se ci facciamo tutti volontari, se ci curviamo sulle malattie, se risaniamo le ferite dall’anima.

Nel momento in cui mettiamo a disposizione i nostri doni, germoglia e cresce in noi il desiderio di volgere di più lo sguardo verso quel Bimbo, fino a contemplarlo ed arrivare al cuore del mistero: “agli occhi della nostra mente è apparsa la luce nuova del Verbo incarnato”. È l’augurio sincero che rivolgo a tutti voi: Buon Natale.

+ Gianni Ambrosio, vescovo

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