La preghiera è al centro della Giornata Mondiale per le Vocazioni. Quest’anno è ancora più centrale e più urgente, immersi in questa difficile esperienza dovuta alla pandemia che proprio qui nella realtà piacentina ha causato così tanti decessi. Costretti a lasciar da parte il ritmo frenetico degli impegni e degli incontri, abbiamo avuto la possibilità di fare un po’ di silenzio interiore. Spero proprio che anche i vari strumenti di comunicazione, che sono risultati ancora più preziosi in questo tempo, siano stati spenti per un certo tempo della nostra giornata. Questo tempo di confinamento, di distanza e di silenzio ci ha offerto una opportunità preziosa: poter sentire la voce del nostro cuore e comprendere che abbiamo una interiorità che trascuravamo troppo. Insieme alla sofferenza per la paura e per i troppi lutti, forse abbiamo avvertito anche un’altra sofferenza, quella della nostra anima, forse abbiamo capito che troppo spesso corriamo senza un senso o una direzione, senza un vero scopo per cui vivere.

Ecco la nostra voce interiore, ecco la ‘vocazione’. Non parlo di una vocazione particolare, come quella alla vita religiosa, ma della vocazione insista nel nostro essere uomini e donne, radicata nel nostro cuore: siamo chiamati e mandati. La vocazione ci costituisce come persona umana. Diventiamo consapevoli della nostra dignità umana ascoltando la voce interiore, scopriamo il nostro valore ponendoci di fonte al mistero della vita, facciamo emergere la nostra identità rispondendo all’amore. Ogni uomo che riconosce di essere cercato ed amato, risponde alla chiamata della vita, nella quale consiste il culmine della sua umanità. Perché la vita ci è donata, non proviene da noi. Senza la scoperta della vocazione, l’uomo vaga nel deserto senza vedere nessuna pista, vive senza sperare in nulla, non ha un futuro, non lo aspetta, non ci crede. È senza casa, come un nomade alla ricerca di continue esperienze sempre più emozionanti, come per sentirsi ancora vivo e avere qualcosa da raccontare a se stesso e agli altri. Non è un pellegrino con una meta, ma è un giramondo che cerca luoghi che vede e poi abbandona, che fa esperienze sempre più forti per ritrovarsi alla fine vuoto e annoiato. Senza la vocazione accolta e vissuta, non si gusta la vita presente né si aspetta il futuro con desiderio e speranza.

La chiamata delle chiamate è quella di Dio, che si rivela a noi come Amore con l’incarnazione, morte e resurrezione in Gesù Cristo, Figlio del Padre, mandato a noi per renderci figli amati. Dio parla a noi attraverso il Figlio suo, Gesù Cristo, crocifisso e risorto. La nostra risposta a questo appello decide la nostra vita, il nostro cammino, la nostra responsabilità. Se volessimo usare l’espressione ‘realizzazione di sé’ – parola un po’ ambigua perché non lascia trasparire la necessaria apertura del nostro ‘io’ -, potremmo dire: la nostra risposta, che è sempre apertura a un ‘tu’, decide il cammino della nostra autentica realizzazione.

Vorrei che nel silenzio del cuore e nella nostra preghiera-colloquio con il Signore, meditassimo a lungo le parole che Francesco ci offre in questa Giornata per le vocazioni. In particolare suggerisco di soffermarci su queste considerazioni che illuminano la nostra vocazione e ci invitano a diventare generosi, grati e coraggiosi nel nostro servizio:

“La realizzazione di noi stessi e dei nostri progetti di vita non è il risultato matematico di ciò che decidiamo dentro un “io” isolato; al contrario, è prima di tutto la risposta a una chiamata che ci viene dall’Alto. È il Signore che ci indica la riva verso cui andare e che, prima ancora, ci dona il coraggio di salire sulla barca; è Lui che, mentre ci chiama, si fa anche nostro timoniere per accompagnarci, mostrarci la direzione, impedire che ci incagliamo negli scogli dell’indecisione e renderci capaci perfino di camminare sulle acque agitate. Ogni vocazione nasce da quello sguardo amorevole con cui il Signore ci è venuto incontro, magari proprio mentre la nostra barca era in preda alla tempesta. «Più che una nostra scelta, è la risposta alla chiamata gratuita del Signore» (Lettera ai sacerdoti, 4 agosto 2019); perciò, riusciremo a scoprirla e abbracciarla quando il nostro cuore si aprirà alla gratitudine e saprà cogliere il passaggio di Dio nella nostra vita”.

+ Gianni Ambrosio, vescovo