Domenica 23 ottobre alle ore 16 in Cattedrale il vicario generale mons. Giuseppe Illica presiede la celebrazione eucaristica “La missione dei migranti” con tema l’ospitalità.

Leggi le parole del direttore della pastorale dei migranti padre Gaetano Parolin

La Missione dei migranti

Nel secondo anno della Missione popolare diocesana, le comunità ecclesiali hanno riflettuto su tematiche quanto mai vicine ai migranti: le  relazioni, la fragilità, la cittadinanza. Il primo tema del terzo anno è nientemeno che l’ospitalità. E che altro chiedono i migranti, se non di essere riconosciuti, accolti, ospitati?

La celebrazione di domenica 23 ottobre, ore 16 in cattedrale, ha questo primo significato. E’ la comunità che accoglie l’altro, il diverso, il migrante. Non è però l’unica dimensione. Rischierebbe di creare relazioni non di fraternità, ma di potere. Il migrante infatti vuole anche offrire, condividere, la fede innanzitutto, nella ricchezza e nella varietà dei costumi, dei canti, della cultura, diversa. Non si presta infatti a fare il più piccolo, il più debole, perché noi possiamo esprimere la nostra superiorità, anche nell’ospitalità. Così infatti ha fatto Gesù, ospitante grazioso e benedicente, ospite bisognoso e povero. Il riconoscimento, l’accoglienza, crea sempre un circuito, una danza, in cui tutti ci troviamo gli uni di fronte agli altri, in cui tutti siamo accolti e accoglienti, riconoscenti e riconosciuti. La missione per i migranti non mira ad assistere un gruppo di emarginati, ma ad essere Chiesa insieme.

“La missione dei migranti”, il titolo che abbiamo voluto dare alla celebrazione, vuole sottolineare questa seconda dimensione. Sì, anche i migranti hanno una missione. Di rendere vera la cattolicità, di fare più bella l’unità, perché più ricca, più varia, meno omologante. Convivialità delle differenze, ha definito la Trinità Don Tonino Bello.

Il rapporto tra missione e migrazioni è antico. Fin dall’inizio, la diffusione del Vangelo è stata legata alle reti migratorie. I movimenti migratori hanno costituito un elemento funzionale alla sua diffusione, come direbbe il grande teologo africano J.J. Hanciles. Il Cristianesimo è una religione di migranti, di stranieri che ospitano altri stranieri. Secondo lo stesso autore, stiamo anzi assistendo ad un rovesciamento di prospettiva. La missione, grazie sempre alle migrazioni, non ha più la direzione Nord-Sud del mondo, ma quella opposta, dal Sud al Nord. Dall’Asia, dall’Africa, dall’America latina arrivano gruppi e persone animate da uno spirito missionario molto più vivace di quello delle chiese europee o americane. Tant’è vero che egli potrà scrivere: “I recenti movimenti migratori, in quanto dimensione critica delle attuali trasformazioni globali, hanno tutte le potenzialità per influenzare i contorni geografici e demografici delle maggiori religioni del mondo e di rappresentare uno sbocco vitale per il proselitismo e l’espansione missionaria”.

Il rapporto migrazioni-missione non è quindi solo di carattere storico, ma teologico. C’è un legame profondo, un influsso reciproco. A questo riguardo, mi piace sottolineare come le migrazioni non abbiano avuto solo un impatto storico sulla missione. Ne influenzano oggi la definizione stessa. Tanto che oggi si parla della missione per e con i migranti come il nuovo paradigma della missione stessa della Chiesa. La missione è infatti sempre straniera. Non  è nostra, è di Dio. E’ la migrazione, l’estasi stessa di Dio, il movimento di Dio verso l’uomo, il  suo mistero d’amore riversato nel mondo. Noi la condividiamo come un dono, come una grazia.  Non è la Chiesa che ha una missione, ma è la missione che ha una Chiesa. La missione è sempre un movimento, non un andare geografico, ma un movimento esistenziale, un movimento dal centro ai margini, dove Dio è presente. E’ poi una missione “rovesciata”, perché il lasciarci evangelizzare precede la evangelizzazione e la missione. E’ obbedienza e sinergia con lo Spirito, l’amore di Dio presente nel mondo. E’ incontro con l’altro e quindi con la propria verità. E’ relazione, cammino d’amore, profezia e comunione pentecostale, dove le differenze parlano lo stesso linguaggio.

Alla celebrazione di domenica 23 ottobre parteciperanno vari gruppi di migranti cattolici, ma anche comunità ortodosse. Sarà inoltre preceduta, alle 15.30, da una processione delle varie comunità migranti, con le loro immagini sacre, le loro bandiere, i loro canti e le loro danze, canti e danze che animeranno la celebrazione eucaristica stessa, presieduta dal Vicario Generale, Mons. Giuseppe Illica.

L’invito a partecipare è esteso comunque a tutti, comunità residenti e comunità immigrate, per essere insieme Chiesa pellegrina, in cammino verso la patria vera e per condividere, nella varietà delle culture, la stessa fede, la stessa speranza, la stessa carità.